Più statine, più diabete
Uno studio finlandese della durata di sei anni, che ha coinvolto ben 9000 uomini non diabetici (di cui 2124 assumevano statine) ha documentato in modo ineccepibile la forte capacità di questa contestata classe di farmaci di indurre diabete. La simvastatina aumenta del 44% la probabilità di diventare diabetici, l’atorvastatina “solo” del 37%. Il lavoro è stato pubblicato nel 2015 sulla prestigiosa rivista Diabetologia (Cederberg H. et al. “Increased risk of diabetes with statin treatment is associated with impaired insulin sensitivity and insulin secretion: a 6 years follow up study of the METSIM cohort” – Diabetologia 2015, 58, 1109-17).
Non è il primo lavoro che documenta questo pericoloso effetto collaterale. Altri in precedenza avevano fatto discutere (si veda ad esempio Carter AA et al. – BMJ. 2013 May 23;346:f2610. Risk of incident diabetes among patients treated with statins: population based study.: pubblicato sul British Medical Journey, fu oggetto di molte proteste da parte degli “alfieri” – se così possiamo chiamarli – delle aziende produttrici). Ma in questo caso mi pare che l’ampiezza del campione, la durata dello studio e l’enorme differenza nel numero di casi di diabete riscontrati, ponga la parola fine a qualunque possibile critica.Meccanismi d’azione chiariti
Gli autori non si limitano alla rilevazione, ma evidenziano i perversi meccanismi che portano alla patologia. In primis un 24% in meno di sensibilità all’insulina da parte dei tessuti, ma anche una riduzione del 12% della capacità di secernere insulina nei pazienti sotto statine. Sono dati che si commentano da soli e che, basandosi probabilmente sul danno al CoenzimaQ10 indotto da statine (il CoQ10 è un importante componente della catena dei citocromi, la cui malfunzionalità può indurre danno mitocondriale e quindi scarsa funzionalità energetica su qualunque cellula) sono perfettamente in linea con gli altri danni da statine fin qui ampiamente documentati: rabdomiolisi e dolori muscolari, alterazioni delle funzionalità epatiche, cataratta (vedi in proposito la sezione “le basi scientifiche ” sul sito www.dietagift.it).
Ricerche asservite
Ciò che qui emerge con prepotenza, però, è il fatto che il diabete, anche da solo, è considerato un fattore di rischio cardiovascolare fino a dieci volte più potente rispetto all’innalzamento dei valori del colesterolo. Sorge dunque spontanea la domanda: che senso può avere trattare un paziente con colesterolo alto per prevenire (forse) la remota possibilità di un infarto o di un ictus se contemporaneamente aumentiamo del 44% il rischio di contrarre diabete (in pazienti sani) decuplicandolo? È da queste considerazioni che si capisce con chiarezza perché le aziende produttrici si affannino così tanto a sminuire questi lavori con pelose controdeduzioni o riesaminando altri lavori passati in cui, magicamente, il dato sul diabete era stato ignorato.
Non è una novità: la ricerca è spesso asservita agli interessi commerciali (nel caso delle statine, interessi di dimensioni gigantesche), come lucidamente riportato da Waknine (Waknine Y – Medscape Medical News Dec 11, 2012 Pharma company-sponsored studies biased: meta-analysis ) che documenta in una splendida metanalisi come gli studi pubblicati e finanziati dall’industria farmaceutica sono molto più “rosei” rispetto ai dati che emergono da meta-analisi più complete sugli stessi farmaci.
Trucchi smascherati
Un recente volume pubblicato da Tecniche Nuove scritto dal medico e ricercatore francese Philippe Even (“Colesterolo, tutta la verità”) ha smascherato – in un lavoro dettagliatissimo – una serie di “trucchi” utilizzati dai “cantori” delle statine nei più noti lavori volti a documentarne l’efficacia, per dire con i numeri ciò che non emergeva assolutamente dai fatti: logaritmizzazioni di curve, pre-trial per ripulire il campione dai non-responder, utilizzo di scale numeriche contraffatte, ampliamento degli eventi considerati rilevanti anche per danni minori e via confondendo e mistificando. Il tutto per “inventarsi” un farmaco dai vantaggi inesistenti, che per ridurre la probabilità di un solo evento cardiaco in un gruppo di 10.000 pazienti richiede l’inutile trattamento di 9990 tra questi che non riceveranno alcun beneficio.
Niente di male, qualcuno potrebbe osservare. In fondo sono tanti i farmaci dagli effetti minimi o poco documentati: molti fitoterapici, molti omeopatici, quasi tutti gli antidepressivi. Magari con un po’ di fastidio relativamente al fatto che per garantire gratuitamente a tutti le statine vengano sottratte risorse sanitarie preziose ad altri settori ben più bisognosi di attenzione (assistenza disabili, prevenzione primaria, alimentazione in scuole e ospedali..). Ma questo studio sul diabete ci costringe ad una presa di posizione forte: chi assume statine aumenta del 44% il rischio di diventare diabetico (se non lo è), aumentando così in modo marcato il rischio di contrarre un evento cardiovascolare.
Il muro si sgretola
La sensazione è che il muro di omertà e di silenzi ben retribuiti che fin qui ha accompagnato l’inarrestabile crescita del mercato delle statine si stia piano piano sgretolando.
Mi pare che ciascun medico, di fronte a questi dati, debba fare un serio esame di coscienza prima di prescrivere a chicchessia una statina. E forse, a chi già la sta assumendo, può con buoni motivi suggerire di toglierla, cercando altre vie, probabilmente più efficaci, di prevenzione cardiovascolare. Generare diabete per tenere artificialmente basso un indice ematico molto controverso come il colesterolo, pare davvero non degno di una pratica medica seria ed onesta, che fin dai tempi di Ippocrate si poneva come obiettivo il noto “Primo, non nuocere”. Che qualcuno tra noi l’abbia troppo presto dimenticato? |